Foto Carlo Altobello

Castello Carrarese

All’ombra di queste mura possenti, ascolta! Senti ancora risuonare l’amore cantato in rime da poeti lontani. Raccontano della splendida Beatrice, “il fiore più bello di ogni altro fiore …”, “…nella quale ci sono maggior pregio, valore e senno, e deve giustamente essere più lodata di qualunque altra al mondo che si possa scegliere, perché non le manca nessun bene che si possa dire…” (Rambertino Buvalelli, componimento del XIII secolo).

Profumo di fiori e risate di bambini. Tra le mura di quella che un tempo fu la mia casa ora passeggiate e trascorrete momenti sereni, lontani per qualche istante dalla vita frenetica che scorre subito fuori da qui. Il mio nome è Beatrice e il Castello Carrarese è il luogo dove abitai gran parte della mia breve ma intensa vita. Guardatelo! Sorge ancora imponente al centro della città e delle sue 14 torri, 12 ancora rimangono intatte, fiere, quasi a vigilare ancora come muti e maestosi guardiani.

Fu per volere dei Carraresi che venne edificato, intorno alla metà del Trecento sulle rovine di un complesso murato Estense, collocato in parte su terreno pianeggiante e in parte su un colle (il monte Murale), dove sorge il possente mastio.

Durante il XII e l’inizio del XIII secolo, i Marchesi d’Este ampliarono il fortilizio costruendo una serie di cortine murarie e di fabbricati residenziali. E fu proprio con mio padre, Azzo VI, che il castello raggiunse il massimo splendore.

Io nacqui proprio qui, nel 1191. Fu tra queste mura che trascorsi la mia giovinezza, immersa in un clima spensierato tipico della vita di corte del mio tempo. Mio padre, grande mecenate, fece arrivare numerosi poeti al nostro castello, rendendolo un importante centro di cultura trobadorica.

I trovatori, questi poeti che abitarono presso la nostra corte, non cantarono nei loro versi solo di mio padre e della sua generosità ed intelligenza ma anche di me. Di me, così piccola, giovane e inesperta! Ascoltavo con timida gioia le lodi che tessevano con le loro dolcissime parole.

Tra loro, uno rimase per sempre nella mia memoria, per la bellezza dei suoi versi: Rambertino Buvalelli. In tanti di me scrissero che ero “il fiore più bello di ogni altro fiore …” ma lui seppe guardare oltre, guardarmi nell’anima. Scrisse che “… ci sono maggior pregio, valore e senno, e deve giustamente essere più lodata di qualunque altra al mondo che si possa scegliere, perché in lei non manca nessun bene che si possa dire; in lei ci sono senno, onore, cortesia, gentili maniere con bell’aspetto, che chi la vede è desideroso di innalzare il suo nobile pregio sopra i più valenti”.

Egli vide il mio valore oltre la bellezza, la gioia e la giovinezza senza colpa che accompagnarono la mia vita nei momenti più felici. Mai potrò scordare queste parole, nonostante tutto quello che accadde dopo.

Le sorti della mia famiglia e del luogo in cui passai la mia fanciullezza furono sconvolte e tragicamente segnate dalle violente guerre tra la fazione guelfa e quella ghibellina. Mio padre purtroppo morì durante gli scontri e mio fratello maggiore, succeduto a mio padre, fu ucciso (forse avvelenato) nel 1215. Rimasi sconvolta dalla guerra, che mi portò via la mia famiglia, coloro che amavo, la mia spensieratezza, il mio mondo leggero. Da quel momento desiderai solo cambiare, vivere una vita lontana dalla durezza spietata degli uomini, dedicandomi a Dio.

Nell’aprile 1221 ottenni dal vescovo di Padova il monastero maschile di San Giovanni Battista sul monte Gemola, da tempo abbandonato. Qui fondai una nuova comunità femminile che aderì alla Regola Benedettina. Spesi tutti i miei beni per ricostruire l’edificio monastico e la chiesa. Presi i voti e fondai la comunità dove decina di altre nobildonne si unirono a me, venendo al Gemola anche da lontano. Ci dedicammo ad una vita di penitenza, di preghiera, di digiuno e di povertà.

Qui, nella più completa clausura, cercai la serenità e la pace di cui ero stata privata dall’orrore della guerra e in parte riuscii a trovarle. Chiusi per sempre i miei occhi sul monte Gemola, all’età di 34 anni, il 10 maggio 1226.

E il mio amato Castello? Vi chiederete che sorte subì. Nel 1249 il nostro nemico Ezzelino III da Romano lo distrusse e solo successivamente si dedicò a restaurarlo.

Persa la sua valenza militare, nel 1570 circa, quando diviene proprietà dei Mocenigo, i quali, all’interno della cortina murata con merlatura guelfa, costruiscono il loro palazzo, oggi sede del Museo Nazionale Atestino.

Attualmente il Castello Carrarese è la maestosa cornice dei giardini pubblici dove, dal 1915, amate trascorrere ore liete, immersi tra natura, storia e pace.

Ora che conoscete la mia storia, all’ombra di queste mura, vi ricorderete di me annusando ogni rosa.

Testi curati da Eleonora Sasso

rif. bibliografico:

  • rif. bibliografico: turismopadova.it; collieuganei.it
  • Gianfelice Peron, Da Calaone a Ferrara. Itinerari trobadorici del duecento, in “Padova e il suo territorio”, Anno X, n.57, ottobre 1995.
  • Lorenzo Paolini, Beatrice d’Este, in “Dizionario Biografico Treccani”, volume 43, 1993.

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